Riflessione collettiva, processi di patrimonializzazione, identità comune, memoria pubblica, contaminazioni e creazione partecipata di nuovi modelli culturali.

Questi i concetti emersi a più riprese nel corso del primo appuntamento di “Relazioni Digitali”, un webinar in cinque tappe, organizzato dalla Digital Library del Ministero della Cultura in collaborazione con la Fondazione Scuola beni e attività culturali, trasmesso in diretta dalla Biblioteca Angelica.
Un titolo riuscito, dunque, considerato il continuo riferimento alla “condivisione” da parte dei tre docenti universitari protagonisti dell’incontro: il moderatore, Roberto Balzani, storico contemporaneista all’Università di Bologna e i relatori, il prof. Franco Farinelli, geografo e già presidente dei Cartografi Italiani e Fabio Dei, antropologo presso l’Università di Pisa.
“Come cambia la visione del patrimonio culturale nell’ambiente digitale?” ci si è chiesti nel primo appuntamento.
Lo spunto iniziale è la grande opportunità offerta dal PNRR per disegnare il futuro spazio digitale dei beni culturali italiani dove, come sottolineato in apertura da Laura Moro, Direttrice della Digital Library, “possano crescere le relazioni che connettono gli oggetti culturali, i contenuti che da essi si generano e le persone per le quali i contenuti hanno significato”.
Dei, da antropologo, ha ritenuto iniziare il dibattito con un breve excursus su come il concetto di patrimonio culturale si sia allargato solo nello scorso secolo, saldando gli oggetti culturali “fisici” con pratiche quotidiane e immateriali, fino ad allora definite “folclore” e poi, grazie anche alle ricerche della demologia, nobilitate con la definizione di patrimonio culturale intangibile. Grazie a questa intuizione, merito dell’Unesco, anche molte nazioni e popoli, pur non avendo una profonda storia artistica e architettonica alle spalle, hanno potuto entrare a pieno diritto nel prestigioso consesso culturale internazionale.
Definiti i contenuti di questo patrimonio, occorre però tracciarne i confini, e Franco Farinelli, come il suo collega, ha voluto concentrarsi su un cambio di accezione nei processi culturali, anch’esso avvenuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, che introdusse il concetto di paesaggio, termine più indefinito e inclusivo rispetto al più geometrico spazio o territorio. Con il termine paesaggio il concetto geografico di confine veniva travalicato, anticipando i grandi processi di globalizzazione di fine ‘900; con la globalizzazione, infatti, siamo costretti a riconsiderare la terra non come una sommatoria di mappe, rappresentazione degli Stati, ma per quello che è: una sfera, per sua natura senza confini bidimensionali.
Contenuti e spazi del patrimonio culturale, sono dunque concetti che, pur essendo di origine relativamente recente, rischiano nuovamente di venire messi in crisi con l’avvento invasivo ed “eversivo” del digitale, dei social e del web, che oggi offrono modelli di fruizione incrociata e transgenere in grado di superare le matrici originarie del bene culturale.
Questo, secondo Fabio Dei, rischia di mettere in crisi le comunità e gli Stati, che su quei beni culturali hanno costruito la propria identità collettiva. Concetto ribadito anche da Farinelli, secondo il quale, la Rete, per definizione, ci fa superare il concetto di territorio, classificato per caratteristiche omogenee, a favore dei “luoghi”, dove emergono le specificità culturali.
“Quindi il pericolo che lo Stato perda il controllo e l’autorità sui modelli culturali esiste?” Ha domandato Balzani. Sia per Dei che per Farinelli i Governi hanno inesorabilmente perso il monopolio della costruzione della memoria pubblica, dei modelli culturali e delle loro modalità di fruizione, ma rimane la possibilità/opportunità di accogliere e governare questi stimoli concorrenti che arrivano dal “basso” per un nuovo approccio metodologico più partecipato nella costruzione dell’identità collettiva (concetto questo da maneggiare con molta cautela).
Attenzione, però, ha sottolineato Farinelli: guai se lo Stato abdicasse la sua responsabilità nell’individuare e proteggere forme e contenuti culturali, anche se apparentemente più marginali o meno visibili: il patrimonio culturale, in tutte le sue forme, è la risorsa più preziosa per attivare forme di elaborazione simbolica della realtà, e quindi di poter “pensare” il mondo. Tuttavia, come ricorda Dei, lo Stato non è più il “monopolista” dei processi di costruzione della memoria pubblica: è necessario quindi immaginare nuovi modi di interazione tra le istanze che vengono dalle comunità locali e la trasmissione al futuro dei contenuti culturali anche delle generazioni precedenti. Il digitale è uno strumento potente per abilitare tutto ciò.
Questa ibridazione di governance, inevitabile e necessaria, coinvolga anche il mondo accademico – si è auspicato autocriticamente Balzani con i colleghi – con la definizione di nuovi standard formativi, interdisciplinari ed in grado di confrontarsi e “scendere a patti” con la realtà.
Un’attenzione e un dialogo costante con quanto accade nel mondo reale e virtuale: queste sono le “Relazioni Digitali” che dobbiamo costruire.